Se dovessi riassumere la tua ultima produzione in tre parole quali sarebbero e perché?
Densità: sono solo 5 canzoni ma dentro ci sono i miei ultimi 3 anni, tutto quello che un giovane uomo può sperimentare crescendo. la vita, insomma.
Immediatezza: amo la melodia, voglio che una canzone si appiccichi istantaneamente alle orecchie di chi ascolta. spero di esserci riuscito.
Timelessness (non trovo un corrispettivo in italiano): grazie al lavoro del produttore davide andreoni, il sound di questi nuovi pezzi è difficilmente collocabile nel tempo, ci sono dentro i miei anni ’90, synth smaccatamente 80’s, riferimenti più 50s ma tutto suona ultra contemporaneo.
Cosa cerchi in un live da spettatore e cosa ti emoziona quando assisti a un concerto?
Quando ascolto musica dal vivo ho voglia di sentire bene tutto: di percepire i bassi, di farmi trascinare dalle ritmiche, di godere delle sfumature della voce, quindi cerco la qualità, e forse anche per questo apprezzo sempre di più i concerti nei posti piccoli e intimi rispetto ai grandi spazi. mi emoziona sempre vedere gli effetti della musica sulla gente: spesso durante le performance mi giro a guardare i volti delle persone, e quando il coinvolgimento di una folla – grande o piccola che sia – è palpabile lì sento di essere davvero di fronte a qualcosa che ha un valore.
Qual è lo strumento o il suono che più di ogni altro incarna la tua personalità?
La voce: nasco cantante, ho imparato a suonare la chitarra per necessità ma mi sento una voce prima di tutto.
Disco o singolo, cosa ha più senso fare oggi?
La liquidità del nostro mondo ci regala nuove prospettive: un disco ha senso quando rappresenta un discorso unitario, dove i brani sono legati da un tema sonoro o testuale. Chi scrive canzoni oggi per fortuna non è per forza obbligato ad aspettare di avere un disco pronto: poter pubblicare un brano esattamente quando si ha voglia o se ne avverte la necessità è una grande libertà.
È più importante il live o essere presenti con costanza sui social?
I social sono allo stesso tempo specchio e distorsione della realtà, sono fondamentali per comunicare e connettersi agli altri, ma per chi fa musica il live rappresenta il punto di contatto più puro e vero, dove barare è difficile, e soprattutto dove la comunicazione avviene senza filtri.
Qual è il ricordo più bello legato alla musica che conservi?
Impossibile individuarne uno solo: penso a me in lacrime a 15 anni che ascolto you learn di Alanis Morissette, o ancora a me ventenne a ballare house music sulla terrazza dello space di Ibiza. Il mio primo lavoro a radio r101, dove ogni sera con la mia band suonavo dal vivo in un programma, oppure quando ho scritto e cantato una canzone per il matrimonio di una mia cara amica. L’ultima emozione grande l’ho avuta quando ho sentito per la prima volta gli arrangiamenti dei pezzi dell’ep How fast we live, e ringrazio ancora Davide (Andreoni, il produttore) per i brividi!
L’esperienza peggiore che ti sia mai capitata sul palco?
Suono da tanti anni e mi sono ritrovato nelle situazioni più disparate: dal baretto con 3 persone di pubblico all’apertura di concerti importanti. Me ne sono capitate di tutti i colori ma per fortuna sono versatile e adattabile e le ho superate sempre.
Cosa ti ha spinto a fare musica?
Fare musica è un bisogno primario e istintivo: ho fatto mille cose fino ad ora nella mia vita e mille ne ho lasciate, ma la musica mai. Ho pensato di smettere a volte ma è proprio un richiamo che arriva da dentro, da un luogo ancestrale. Nella mia testa c’è musica h24, da qualche parte devo farla uscire.
3 brani che non possono mancare nella tua playlist?
Stop this train – John Mayer
Honey – Robyn
Una somma di piccole cose – Niccolò Fabi