Irene Ghiotto è una musicista, cantautrice e produttrice, nata e cresciuta nella provincia di Vicenza. Nel 2010 prende vita il progetto ‘solista’, avviato grazie all’incontro e alla collaborazione con Carlo Carcano, compositore e arrangiatore (Bluvertigo, Morgan, Piccola Bottega Baltazar, Umberto Maria Giardini, The ZenCircus) che ha curato anche la produzione di SuperFluo, ultimo disco dell’artista in uscita il 25 Novembre.
Ciao Irene, parlaci di “SuperFluo”, il tuo nuovo disco. Cosa ti ha ispirato nella composizione e a cosa fa riferimento il gioco di parole che dà il titolo all’album?
Superfluo è ciò che eccede i limiti della necessità. Ma ciò che è ornamentale, ciò che non ha una precisa utilità pratica, non è detto che sia vano o infruttuoso. Semplicemente, esiste per essere gradito, bello, coinvolgente, emozionante, complesso, spogliato. Spostando l’accento, la parola si scompone e ne esce un significato inedito, nuovo, inaspettato. Il superfluo si trasforma in una fluorescenza; è più che fluo: è super fluo, ovvero memorabile, importante, da non scordare. Questa dicotomia, questo incontro di opposte intenzioni fa intensamente parte della composizione di questo disco, imperniata su uno scheletro, a tratti grottesco, di giocosità ritmiche, sgambetti melodici, sonorità giganti dentro un puzzle di piccole emozioni.
Da dove nasce l’idea di un intero piano sequenza per il video di “Preghiera per tutti”?
L’idea era quella di filmare ciò che accadeva nel momento in cui accadeva, senza filtri, montaggio o manipolazione. Le riprese sono state fatte con una doppia camera su unico asse, quindi ciò che appare sdoppiato è la realtà stessa, che con ‘due occhi’ compare, scompare e riappare, come un’unità che si divide e poi ritorna in modo liquido verso una centratura. Il soggetto si esprime liberamente in un balletto a tratti goffo ma sempre sincero e fluido. Un movimento che porta fuori l’energia del dentro e porta dentro la fatica del fuori.
Il 23 novembre presenterai il disco nella tua città natale. Come ti stai preparando a questo live?
Sto affrontando un training fisico/tecnico e un training emotivo. Per la prima volta, dopo più di dieci anni, salirò sul palco senza sedermi subito allo sgabello del pianoforte. Sarò in piedi con una piccola tastiera accanto. Vi sembrerà un piccolo cambiamento ma per me è molto significativo, rispetto a quello che desidero rappresentare. Desidero stare sulle mie gambe. muovermi con fluidità e confidenza, togliere ogni scudo, ogni maschera, ogni catena, per cercare di esprimermi con la maggiore libertà possibile.
Cosa puoi dirci riguardo la tua esperienza ad AreaSanremo? Cosa ha rappresentato per te quella vittoria?
L’esperienza di SanremoGiovani mi ha fatto capire che avrei dovuto perseguire e lottare, con le armi dell’originalità, ficcando il naso sempre più a fondo nelle trame dell’identità. Mi ha insegnato a riconoscermi e a sopravvivere a una grande emozione, cavalcando le onde dell’ansia come un surfista esperto.
Quali sono le tue principali influenze?
Ultimamente sto approfondendo la musica art pop, pop barocco e indierock: St Vincent, Fiona Apple, Dirty Projectors. Amo molto l’approccio punk di Courtney Barnett, la psichedelia dei Tame Impala, la scrittura fine e violentemente introspettiva di Bon Iver, il soul sinfonico di Laura Mvula, il neo soul vibratissimo di Lianne La Havas. Ma sono cresciuta con la dance music, con il progressive, con l’hard rock, attraversando le fasi acute del punk rock californiano e il revival del grunge di Seattle. Dentro di me ci sono anche le bellissime canzoni della nostra storia cantautorale.
Cosa conta di più tra una pagina Facebook con tanti like o un buon disco?
Qualsiasi musicista che si rispetti risponderebbe un buon disco. Ma non sono così naif da pensare che le due cose non siano, almeno in parte correlate. L’esposizione dell’artista e dell’opera sono circostanze quanto mai importanti al fine di promuovere l’opera, farla esistere nel mondo. Senza pubblico, l’opera si spegne. Essere ‘sconosciuti’ non è segno di demerito ma spesso causa di mancanza di opportunità e un buon disco si meriterebbe sempre tanti like.
Un aspetto positivo ed uno negativo del fare musica?
Esistere attraverso l’opera. Lasciare che l’opera esista e resista al nostro sopravviverle.
Credi che un artista debba schierarsi politicamente? Approvi la politica nella musica?
Com diceva Skin: “Yes it’s fucking political. Everything’s political.” Ogni gesto artistico, creativo connesso all’esistenza è una forma di resistenza politica. Essere donna cantautrice e auto prodursi un disco fuori dai generi è un gesto politico. Non è necessariamente detto che l’opera debba parlare di politica, nel senso di dare opinioni rispetto alla classe politica e alle scelte della classe politica. Io, personalmente, se c’è da esporsi, in ogni ambito o contesto, lo faccio solo quando sono certa di aver formato un’opinione a riguardo e se c’è da scendere in piazza a manifestare, lo faccio con tutto il fiato che posso.
Come pensi incida l’esser attori nel mondo musicale nel campo delle relazioni personali?
Io, nel mondo musicale, sono giusto appena una comparsa. Non so cosa significhi essere attore protagonista. Immagino che le relazioni e la vita privata subiscano gli effetti devastanti di un narcisismo psicotico, di una deviazione della personalità che sposiziona la lucidità di chi ne è
vittima e artefice. Non è facile maniere l’equilibrio sotto il flusso di circostanze che mettono alla prova i nervi e le ambizioni/frustrazioni. Io, per il momento, sono ben felice dell’equilibrio tra il dentro e il fuori. È importante scegliere bene chi ci ama e ci supporta/sopporta. 😀
Un artista (vivo o morto) con cui faresti un featuring?
David Byrne
Quando ti sei ubriacata l’ultima volta?
Nel 2001. 😀 (unica volta in cui ho bevuto fino a barcollare)
Domande da pistola alla tempia, da rispondere senza tergiversare:
Beatles o Rolling Stones? Beatles
Venditti o De Gregori? De Gregori
Pasta o pizza? Pizza
Birra o vino? Birra
Chitarra o pianoforte? Pianoforte
Arrivederci o addio? Addio, sempre addio
È più Umberto Tozzi il Rod Stewart italiano o è più Rod Stewart l’Umberto Tozzi scozzese? Umberto Tozzi è il Rod Stewart italiano (in crisi glicemica)
Progetti per il futuro?
Fare musica onesta