“La leggerezza ci fa sognare un mondo che forse non esiste più, o forse si può ancora ritrovare solo trovando il coraggio di lasciarsi un po’ andare.” Con queste parole, I Labrador si raccontano e ci parlano della loro ultima produzione “Milan Kundera”.

Com’è nata la vostra ultima produzione? C’è stata un’ispirazione particolare, e se sì quale?
L’idea per il testo e l’atmosfera anni ’80 del nostro secondo singolo, Milan Kundera, è nata proprio da un’ispirazione cinematografica, o meglio televisiva. Si tratta di una puntata di una serie tv che mi è rimasta particolarmente nel cuore: San Junipero, dalla terza stagione di Black Mirror. Essendo una serie antologica la puntata si può anche guardare singolarmente, e non posso che consigliarla a tutti. Il titolo del pezzo vuole invece essere un omaggio a uno dei più grandi scrittori viventi, che proprio nel pieno degli anni ’80 ha pubblicato il capolavoro iconico che ha segnato una generazione, L’insostenibile leggerezza dell’essere. Ed è la leggerezza a permeare il pezzo, e farci sognare un mondo che forse non esiste più, o forse si può ancora ritrovare solo trovando il coraggio di lasciarsi un po’ andare.

Quali sono le vostre principali influenze?
L’ispirazione arriva da tutte le direzioni. Per la scrittura dei testi mi lascio ispirare dalla vita di tutti i giorni, dai sogni ad occhi aperti che faccio nelle notti in cui non riesco a dormire, immaginando vite diverse dalla mia e reinterpretandole in chiave personale. Ma anche da tutto ciò che mi capita sott’occhio e soprattutto sotto orecchio. I cantautori italiani che ascoltavo da piccolo in auto con mia madre: Venditti, De Gregori, Battisti, Lolli. Il rock classico dei Beatles e dei Beach Boys. Il punk-rock americano dei Blink-182 e dei Green Day, che mi ha fedelmente accompagnato durante l’adolescenza e che ho già esplorato a vent’anni suonando in una band. La bella musica italiana, che dopo un periodo sottotono è di recente tornata alla ribalta in tutta la sua forza con l’ondata indie negli ultimi anni: Gazzelle, Thegiornalisti, Le luci della centrale elettrica, Ex-Otago, ma anche quella con qualche decennio di esperienza alle spalle dei Baustelle. È poi c’è la pesante influenza dovuta alla passione per il pop anni ’80, la new wave dei The Cure e dei New Order, la corrente synthwave di musica elettronica con quei sintetizzatori che ci fanno sognare tempi andati. In qualche modo tutto questo si rimescola in testa cercando di trovare un senso compiuto, in un prodotto che non si vergogna di essere un po’ diverso, pur nella sua formale aderenza ai canoni pop.

Come nascono i vostri brani?
Il bello del nostro progetto è che non ha un modus operandi statico. Ci sono state canzoni nate con voce e chitarra in cameretta, altre nate da una traccia di sintetizzatori e drum machine inizialmente pensata per una produzione di musica elettronica. Qualcosa nasce in autonomia, qualcos’altro dalla collaborazione attiva. Quel che conta è essere sempre tutti e tre soddisfatti del risultato. O quasi, visto che i ripensamenti sono sempre all’ordine del giorno!

Cosa conta di più tra una pagina Facebook con tanti like o un profilo Instagram con tanti follower e un buon disco?
Al giorno d’oggi sicuramente l’immagine e la presenza social sono fondamentali e forse pesano, in quanto a risultati in termini di ascolti e popolarità, più della qualità di fondo del prodotto. Ma tra farsi notare e farsi ricordare c’è una distanza abissale. Noi per ora non abbiamo né una cosa, né l’altra, quindi ci accontentiamo di un profilo Instagram dove cui chi ci segue può avere nostre notizie e informazioni, e dei singoli su Spotify che speriamo facciano risuonare qualche corda in chi li ascolta, e che magari li riascolti volentieri e non perché costretto a farlo per la loro onnipresenza nei media. Un album rientra sicuramente nei progetti futuri, e abbiamo già parecchio materiale in lavorazione.

Un aspetto positivo e uno negativo del fare musica?
Creare qualcosa che prima non c’era, vederlo caricato sulle principali piattaforme e apprezzato anche da chi magari non ti saresti mai aspettato dà una grande soddisfazione, pur nel nostro piccolo. L’unico lato negativo che mi viene in mente è che per portare avanti un progetto del genere, per chi come noi non è un professionista, è necessaria una dedizione e un impegno costante nel tempo che non sempre è facile mantenere con il lavoro e gli impegni di tutti i giorni.

Come pensate incida far parte del mondo musicale sulle relazioni personali?
Sicuramente la musica unisce, come poche altre cose al mondo, e può quindi incidere solo in positivo sulle relazioni con gli altri.

Cosa pensate dei messaggi politici all’interno delle canzoni? Credete che un artista debba schierarsi politicamente?
Penso che il tempo delle grandi rivoluzioni portate avanti da artisti/attivisti sia inevitabilmente tramontato. I Times are a-changing di Bob Dylan non stanno più cambiando poi molto, forse perché ognuno ha abbastanza fatto pace con lo status quo. Come band non siamo politicizzati, e personalmente sono di vedute molto aperte e non vedo di buon occhio ogni polarizzazione di idee, ma non ho niente in contrario se un artista dice la sua opinione o la fa permeare nel suo lavoro. La musica è un modo meraviglioso di esprimersi e la libertà di espressione comprende anche la sfera politica. Quindi… Perché no?!

Un artista (vivo o morto) con cui fareste un featuring?
Un featuring non si nega a nessuno. Magari a un morto no, ecco.

Quando vi siete ubriacati l’ultima volta?
È sicuramente passato più tempo di quanto vorrei.

Roulette russa / Domande da pistola alla tempia, da rispondere senza tergiversare:
Beatles o Rolling Stones? Beatles
Venditti o De Gregori? Non potete farmi scegliere tra i miei due cantautori italiani preferiti. È come chiedere a quale dei tuoi fratelli vuoi più bene. Non si può dire, non si dice! E comunque, sono figlio unico.
Pasta o pizza? Pizza
Birra o vino? Dipende dalla situazione.
Chitarra o pianoforte? Chitarra, ma invidio tantissimo chi suona bene il piano.
Arrivederci o addio? Arrivederci. Le cose troppo definitive mi fanno paura.
È più Umberto Tozzi il Rod Stewart italiano o è più Rod Stewart l’Umberto Tozzi scozzese? È una farfalla che muore sbattendo le ali. Come fosse antani, con scappellamento a destra.

Stiamo vivendo giorni molto complicati a causa dell’emergenza Coronavirus. Come vi sentite nell’affrontare questo momento e quanto sta incidendo sui progetti futuri?
Come per tutti gli italiani, questa tragica situazione ha messo un bel segno pausa alle nostre attività, ma ci siamo attrezzati per non fermare del tutto il lavoro creativo e procedere con il nostro progetto.

A proposito: progetti per il futuro?
Intanto abbiamo ancora qualche canzone nella manica, sui cui stiamo ultimando gli ultimi ritocchi prima di pubblicarle come singoli. Poi, non appena sarà possibile, lavoreremo ad un live e alla produzione di un album. Vedremo che ne verrà fuori! Siamo curiosi anche noi.

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