Classe 1968, Umberto Maria Giardini è un artista che ha una storia alle spalle che può fare invidia a molti. La sua carriera inizia come Moltheni, progetto con cui ha inciso 8 dei 15 album pubblicati finora. Dopo una parentesi con i gruppi Stella Maris e Pineda, il cantautore torna oggi con un nuovo disco dal titolo “Forma Mentis”. Nella sua intervista ci ha parlato in modo schietto e chiaro, come un artista dovrebbe sempre essere.
Parliamo di Forma Mentis, il tuo ultimo lavoro. Cosa ti ha guidato nella creazione di questo disco?
Non c’è un filo conduttore che mi lega. Mi faccio trasportare dal momento e dal periodo storico. Avevo l’esigenza di fare un disco diverso e mi sono concentrato su una preproduzione con protagoniste le chitarre. La preproduzione è stata lunga e quindi quando siamo entrati in studio avevamo le idee molto chiare. Un enorme valore aggiunto sono state poi le operazioni di mixaggio.
Come ti stai preparando al live?
E’ entrato un nuovo elemento Paolo Narduzzo (già bassista della band Stella Maris). Alla batteria è tornato Cristian Franchi batterista del primo album La dieta dell’Imperatrice e con loro abbiamo dato vita a una combo molto rock.
Ha un relazione con il disco registrato nel 2002 e mai pubblicato?
No, si tratta di un disco nuovo che non ha alcuna relazione con l’altro album, di cui ho conservato solo il titolo.
Quali sono le tue principali influenze?
Sono sempre influenzato dal passato, da una visione molto lungimirante su tutti i miti del passato. Sia nel cinema che nella musica, ecc. Sono questi i riferimenti a cui cerco di ambire. Ogni disco ha quindi diverse convergenze. Per questo disco ho ripreso molto degli anni 90 e molto rock americano degli anni ’70. A mio giudizio questo album ha un suono poco europeo.
Come vivi il rapporto con i social?
Sto abbastanza distante dalla rete e quindi per me è difficile capire come può influenzare un progetto musicale. I progetti credo debbano e possano partire e farsi strada da soli. La rete può aiutare ma interviene quando i giochi sono fatti. Quando un progetto già vola, si è fatto strada, allora può intervenire la rete. Ma non credo possa fare più di tanto. La verità oggi non è più quella oggettiva che trapela dalle affermazioni. La società è cambiata nella forma e nelle espressioni. Se una cosa nasce dalla rete e si diffonde per me non ha molta credibilità. E’ una specie di bluff che poi non ha molta sostanza. Bisogna fare le cose alla vecchia maniera, fare gavetta, uscire e farsi conoscere. Oggi facciamo solo più affidamento alla rete, se questa venisse meno avremmo miliardi di suicidi. Noi non ce ne rendiamo conto ma quando nel futuro ci studieranno, studieranno i nostri comportamenti, si scopriranno cose che oggi non sappiamo e di cui non ci rendiamo conto.
Questo come si riflette nella proposta artistica?
La influenza secondo me. Nel mio caso cerco di lavorare in un modo lontano da quello che va in voga oggi, fuori moda. Io lavoro come si lavorava negli anni 70. Sfrutto tutte le possibilità che mi dà la tecnologia in studio ma resto fedele a quel modo di fare. Oggi non funziona più così. Le cose sono fatte in modo ipocrita. Per fare un esempio, i mix si fanno con il sommatore, una macchinetta che fa tutto in automatico e fa risparmiare una mare di soldi e questa metodologia viene usata da gente che fa il sold out al Forum di Assago. Una cosa mostruosa di cui nessuno si accorgerà mai.
Cosa ha significato per te la partecipazione a Sanremo? Credi che oggi abbia lo stesso peso che in passato?
Ricordo poco di quell’esperienza perché sono passati 20 anni. Bisogna poi fare una distinzione perché all’epoca non c’era il web. Oggi è molto diverso. Anche se vinci finisci nel dimenticatoio mentre se ottieni risultato, vieni santificato come un dio. Non si può paragonare la realtà del Festival attuale al festival di 20 anni fa.
Cosa ne pensi dei talent? Credi siano un mezzo utile?
Non voglio rispondere a domande a cui tutti rispondono la stessa cosa. Li discriminiamo tutti ma poi nessuno esterna ciò che pensa davvero. Oggi non trovi qualcuno che ti dice “I talent fanno schifo” e questa è ipocrisia. Significa che la verità oggettiva, non esiste più. Quello che viene detto è un bluff.
Cosa ne pensi dell’attuale music business?
Facciamo un esempio della realtà riferito proprio ai talent. Prendiamo X Factor che nell’ultima edizione era seguito da Agnelli, Fedez, Guenzi e Maionchi. Come si può, nel 2019, al di là di tutte le illusioni che danno e alle famiglie, che sono quelle veramente prese per il culo, come mai nessuno parla del fatto che mentre i ragazzi si esibivano dietro di loro compariva la scritta “Cassa di risparmio di Milano”? I giudici prendono 360 mila euro e da dove arrivano? Da una banca, che sono il male della società moderna. Oggi la musica dipende da un talent sponsorizzato da una banca. E’ abominevole ma la verità oggi va taciuta.
Ti definiresti un artista “indie”? Ti riconosceresti in questa definizione?
Io la parola “indipendente” l’ho tradotta sempre in modo diverso dall’uso che se ne fa comunemente. A me il fenomeno “indie” non ha mai interessato molto, me ne sono sempre tenuto alla larga. Io sono sempre stato molto indipendente nell’approccio al lavoro. Tutto nasce da un’esperienza brutta che ho avuto con la major BMG e da allora non sono voluto tornare a lavorare con una realtà simile. Le major sono piene di gente incompetente. Molti lo pensano ma non lo dicono. Erano anche prepotenti e imponevano anche un taglio di capelli, per esempio. Oggi c’è stato un piccolo ricambio generazionale ma la situazione è migliorata di poco.
Un consiglio a chi vuole fare musica?
Secondo me ha sempre senso lanciarsi nella musica perché suonare è una cosa meravigliosa. E’ un piacere tridimensionale che solo chi suona può realmente capire.